L’impianto metodologico di “Cani da Vita”


L’amore è la capacità di avvertire il simile nel dissimile.
T.W. Adorno

L’attività di pet therapy ha riscosso negli anni sicuramente un crescente interesse proponendosi come una delle realtà più stimolanti operanti nel settore dedicato ai soggetti a rischio di esclusione sociale. Anche le numerose iniziative presenti in Trentino e nel resto dell’Italia hanno certamente incentivato il nascere di riflessioni importanti sul miglioramento della qualità della vita. Ormai appare unanimemente riconosciuto che, a proposito della gamma degli effettivi e potenziali beneficiari, vanno considerate non solo le categorie dei “soggetti deboli”, che possiamo considerare beneficiari primari, ma anche tutte le persone che, per condizione o carenza di risorse, si trovano in stato di svantaggio o di difficoltà e necessitano di interventi finalizzati alla loro integrazione/inclusione sociale.

Anche la comunità di San Patrignano a Pergine, con questa sua esperienza di eccellenza, è diventata nel corso degli anni punto di riferimento e d’incontro per il territorio e per le numerose associazioni, Enti o singoli individui sia dell’Italia, sia dell’Europa. Il fondamento metodologico degli interventi si basa sul rapporto tra animali e persone, attraverso nuovi modi di interazione con l’alterità animale che assume la funzione di medium educativo.

Occorre però, a mio avviso, chiarire alcuni concetti che, al di là dell’azione concreta, definiscono i principi ispiratori di base. Se condividiamo una sorta di identificazione della pet-therapy come l’azione che si svolge tra animale e uomo, azione ricca di senso, di significato affettivo, relazionale, comunicativo e cognitivo, concordiamo che essa sia principalmente azione educativa mirata all’incremento di personalità ed alla crescita della persona. Chiaramente ciò lo si ritiene degno di nota se si concretizza all’interno di una visione sistemica secondo la quale il tutto è ben più della somma delle sue parti. La centralità di questo approccio pedagogico vuole essere un’occasione per riscoprire l’importanza della relazione con l’animale e riflettere sul significato formativo, emozionale e psicologico del referente proposto. In particolar modo si tratta di prendere in considerazione non solo l’aspetto utilitaristico dell’addomesticazione, ma di puntare lo sguardo sul ventaglio più ampio di tutte le valenze antropologiche dell’animale, essenziali per la promozione di alcune delle caratteristiche più autentiche del patrimonio umano. Come la zooantropologia ci insegna, si deve evitare di considerare il cane solo come uno strumento, uno stimolo o un surrogato. Non c’è posto per un concetto di animale che cura ma, come sostiene Demetrio, si deve far proprio il punto di vista sistemico secondo il quale l’educazione può essere considerata solo in termini di cambiamenti relazionali interni al soggetto. Si verificano, cioè, delle trasformazioni nella globalità del campo cognitivo e pragmatico. Non si può parlare di reale educazione se si considera la sola assimilazione di informazioni o l’apprendimento di strumentalità manuali isolate.

L’aspetto innovativo ed unico di questa esperienza si concretizza proprio nella proposta mirata, fatta solo ad alcuni soggetti, di sperimentarsi in un percorso di formazione personale e professionale come istruttore cinofilo specializzato in pet therapy. Il modello di fatto propone a soggetti inseriti in comunità il contatto con gli animali (in particolare i cani) sia per un beneficio personale sia per l’aiuto a terzi. Nel triangolo relazionale, la pratica quotidiana vede però questi attori scambiarsi continuamente il ruolo di fruitori ed erogatori; unico punto fermo rimane la relazione con l’animale. Rimane, inoltre, inalterata la “tensione educativa” che consente un approccio all’Uso Terapeutico dell’Animale da Compagnia e cioè un forte impegno di programmazione e di costante attività formativa per garantire adeguati livelli e garanzia di professionalità. La comunità cerca, quindi, di applicare e vivere i concetti di pedagogia attiva, contatto con i viventi e luogo di vita, incontro, formazione, emozione che costituiscono il fondamento della pedagogia speciale applicata all’utilizzo dell’animale nelle attività ri-educative e/o abilitative. In particolare si creano i presupposti per percorsi di avvicinamento/conoscenza della referenzialità animale in quanto la scoperta di quest’ultimo arricchisce i campi di conoscenza e moltiplica i riferimenti con la realtà. Il gruppo cinofilo, e la comunità intera, sono, quindi, un grande laboratorio di pet therapy.

Tutto quanto scritto fino ad ora si fonda sul presupposto che le persone sono esseri unici ed irripetibili, portatrici si di bisogni, ma soprattutto di capacità. La conseguente approfondita analisi sull’uso terapeutico del mediatore animale nasce proprio dalla profonda convinzione che tutti abbiano il diritto di essere concretamente aiutati e sostenuti, e, ancora di più, rispettati anche nella propria eterogeneità. Ciò ci permette di pensare sempre alle persone come effettive protagoniste della propria vita, anche se esercitare tale ricchezza richiede più tempo o più investimento di energia, soprattutto se i soggetti non sono abituati a prendere decisioni decise e determinanti.

Il progetto “Cani da Vita” consente alla comunità di San Patrignano a Pergine indubbiamente anche un bellissimo ritorno dal punto di vista della visibilità sociale. Ma, dal punto di vista del percorso terapeutico la novità consiste principalmente nel permettere alla persona che ha deciso un cambio di strategia di vita, di affiancarsi in altri percorsi educativi, sempre affiancato da persone competenti in campo cinofilo, gestendo il cane secondo le finalità, il contesto e gli obiettivi prefissati. Ciò garantisce un innovativo salto di qualità nell’intervento volto all’inclusione sociale del singolo. Il tutto appare efficace quando si riesce a tenere ben presente che l’effetto beneficiale della relazione uomo-animale proviene dalla capacità di modificare, arricchire, migliorare ed approfondire la relazione e non dalle performance dell’animale stesso. Il cane non è mai utilizzato, ma altresì coinvolto nel progetto: il prodotto del percorso progettuale è referenziale e non performativo. Pensiero fondante l’intero impianto metodologico applicato è che il cane non deve interagire “per far piacere all’uomo” ma perché trova gratificante di per sé l’interazione.

Ma l’educatore cinofilo che collabora in laboratori di pet therapy non è solo colui che accompagna l’animale mediatore. Considerarlo tale sarebbe commettere ed avvallare un grave insulto alla reciprocità relazionale di tutti i membri coinvolti. L’idea guida che la tossicodipendenza sia solo il sintomo di un disagio porta ad analizzare quest’ultimo, attuando in seguito un metodo che lo possa sanare. La metodologia proposta si fonda sul presupposto che il tossicodipendente non sia riuscito a strutturare un Io sufficientemente forte ed indipendente dai condizionamenti derivanti dal conflitto interno fra ansia e depressione. Il tentativo terapeutico si propone di affiancare al soggetto un Io più forte capace di rassicurarlo e strutturarlo attraverso l’identificazione con le figure educative preposte. L’animale diventa perciò uno strumento ulteriore, che non sostituisce nulla e nessuno, capace di specificare e rendere ancora più unico il percorso del singolo.

Voglio, inoltre, sottolineare, rimandando lo sviluppo del concetto a persone più capaci in materia, come in un progetto di pet therapy, assumendo come metafora un motore a scoppio, se la motivazione alla relazione con l’animale la si può intendere come il “carburante”, risulti indispensabile analizzare in modo continuativo pure l’affiatamento della coppia (istruttore e cane), in quanto essa è l’insostituibile e necessario “lubrificante”. La pet therapy va quindi intesa come terapia complementare alla medicina convenzionale, assolutamente non sostituibile a questa.

Nelle attività zooantropologiche assistite come quella qui descritta, l’animale deve essere inteso come partner (e non come uso) capace di apportare dei contributi che modificano la struttura di relazione dei presenti. L’animale è coinvolto in una dichiarata dimensione di partnership nella quale devono essere salvaguardati i suoi caratteri di alterità. Nell’équipe di lavoro il cane è perciò doverosamente considerato un soggetto e non un oggetto, e non può mai essere antropomorfizzato o categorizzato. Questi principi, spesso enunciati, vengono, in questo laboratorio, vissuti quotidianamente e rientrano poi nel patrimonio individuale del singolo e del gruppo.

Come espresso in precedenza, questo l’approccio zooantropologico apporta un indubbio beneficio al percorso delle attività o terapie assistite dall’animale perché esso analizza non solo la relazione uomo-animale, ma anche gli apporti che tale relazione produce. In una società moderna e complessa come la nostra si è fatto un notevole passo avanti ed oltre a preoccuparci del benessere animale si utilizza l’interazione tra due esseri viventi complessi come l’essere umano e quello animale .

Il proporre tale metodologia all’interno della comunità è stato un punto estremamente qualificante e caratterizzante del percorso ri-abilitativo. Perché? Semplice, siamo convinti che la referenza animale si basi su eventi relazionali lontani da quei processi competitivi, giudicanti e omologativi che sono proprio il punto debole per le persone che si trovano in situazioni di difficoltà e di esclusione sociale. Di conseguenza, nel percorso formativo proposto, si agisce evitando di considerare il cane solo come uno strumento, uno stimolo o un surrogato. Nei laboratori di pet therapy l’animale deve essere considerato partner capace di attivare nuovi contributi derivanti dalla struttura di relazione. Esso è coinvolto nella struttura di partnership assieme all’educatore cinofilo, poiché, per trovarsi in una struttura relazionale (e quindi partecipativa), deve necessariamente veder salvaguardati i suoi caratteri di alterità, vale a dire essere considerato un soggetto e non un oggetto, un portatore di diversità e di peculiarità e non essere antropomorfizzato o categorizzato. Come dicevo poc’anzi, l’effetto beneficiale scaturito in un laboratorio di pet therapy proviene dalla relazione e non dalle performance dell’animale, pertanto nell’intero laboratorio, l’animale non è percepito e quindi utilizzato, bensì coinvolto a pieno titolo nel progetto stesso. Attenzione particolare è posta ad evitare episodi di antropomorfizzazione e oggettualizzazione, rischi che potrebbero compromettere un sano e corretto rapporto uomo-animale, base etologica fondamentale per intraprendere un percorso laboratoriale di pet therapy.

Così come ogni buona comunità, anche San Patrignano propone una idea di vita diversa da quella della società esterna: non si tratta di una utopia millenaristica, ma di una immagine del mondo e della vita meno competitiva e meno individualistica da un lato e, nel contempo, dall’altro lato, meno massificata ed omologata rispetto alla società esterna.

Per questo si tenta di ricreare all’interno della comunità la complessità dei rapporti e le attività presenti nella società, consapevoli di potersi sperimentare in un luogo protetto. Queste esperienze, e la loro elaborazione, consentono ai soggetti di estrapolare la propria identità, abbandonando quella legata ad un falso sé che non solo nega la tossicodipendenza come problema, ma non intuisce che quest’ultima è solo un sintomo. Solo ritrovando la propria identità ed unicità la persona potrà costruire un Io consapevole e forte abbandonando il bisogno di falsificare la realtà. Si punta sulla personalità in quanto al termine del processo terapeutico i “problemi” del soggetto potrebbero essere invariati ma le capacità di affrontarli costruite.

Proprio su questa base di uno specifico rapporto uomo-natura sono stati inseriti gli animali nella comunità. La natura è considerata e vissuta come vera maestra e gli animali sono percepiti parte di essa. Di conseguenza ne risulta una visione della vita naturale e non artificiale. Questo diviene un punto fondamentale dell’intera terapia ambientale perché superare una visione artificiale dell’esistenza vuol dire fare i conti con la tossicodipendenza e porre le basi per superarla. Per terapia ambientale si intende proprio quella pluralità di relazioni e di rapporti sociali, di stimoli e di verifiche quotidiani che l’ambiente offre all’individuo, influendo costantemente sul suo processo di crescita e di cambiamento. Ed è qui che entrano in gioco fattori personali, pensieri, ansie, preoccupazioni e vissuti sia singoli che nei confronti di altri o del gruppo. In questa dimensione di gruppo e di istituzione rappresentate dalla comunità il cane inserisce una ulteriore opportunità: il coordinarsi, il dividersi mansioni e responsabilità, il manifestare competenze comunicative e relazionali, il gestire situazioni sempre più articolate e complesse, viene potenziato del rapporto affettivo con un altro da sé. Questo processo difficile e delicato vede proprio l’animale protagonista nella relazione, considerato un membro essenziale portatore di diversità e di peculiarità, proprio come tutti gli esseri ...umani.

Vorrei, infine, sottolineare come anche all’interno del progetto si possano identificare delle realtà materne e paterne. Questi aspetti sono interiorizzati dai soggetti vivendo a contatto con gli animali, esercitando con responsabilità le funzioni di nutrimento ed accudimento, la dimensione rassicurativa di guida sicura, la normatività e l’autorità, osservando ed imparando ad ascoltare. Ma, in questo caso, non si tratta, come dice Larocca, di recepire solo mediante l’udito, ma di “fare attenzione all’altro”, di predisporre tutto l’essere nel tentativo di cogliere il messaggio inviato. Il termine ascolto è quindi inteso in senso più ampio: significa cioè disponibilità a ricevere, desiderio di accogliere l’altro, ricettività consapevole. Questa apertura è la predisposizione che permette di comunicare realmente, di dialogare. La tensione a penetrare nell’universo dell’altro per arricchirci e vivere in sintonia e complementarietà ci induce ad un’espressione di noi veicolata dalla parola che percepiamo farsi vita per l’altro. Il dialogo umano inizia quando all’ascolto segue l’espressione di sé, ma non nella superficie di sé, bensì della problematicità dell’io” .

Questi fattori spesso si fondono permettendo un equilibrio che ricorda quello familiare, quasi a ricostruire quel nucleo assente o carente. Nella dimensione comunitaria non sottovaluterei questo fattore che può far riemergere disagi ma che è fondamentale per ricostruire una personalità che deve formarsi, crescere ed emanciparsi. Il beneficio, infatti, non si esaurisce nella situazione dell’interazione uomo-animale, perché risulta più naturale per l’uomo estendere questa sincerità anche alla comunicazione con i propri simili, con indubbie conseguenze positive sui rapporti sociali.

Emerge, quindi, l’importanza di un corretto rapporto con tutta la natura, anche la natura umana, che va profondamente rispettata e riconosciuta nella sua valenza educativa da valorizzare continuamente. L’uomo deve saper sviluppare caratteristiche di adattabilità e flessibilità, considerando l’ambiente naturale come punto di riferimento. In tutto questo, gli “animali terapeutici” si sono inseriti a pieno diritto nella terapia ambientale della comunità “essendo naturalmente capaci di far incontrare ed ascoltare la vita all’uomo”. In tal modo si cessa di essere dipendenti dalla droga e si affronta finalmente la responsabilità e la difficoltà dell’esistenza, perché come ricordava Vincenzo Muccioli “il tossicodipendente è un uomo che non ha paura di morire, bensì di vivere”.

Con stima
Marco Defranceschi